Catone

Catone

Esempio nella vita e nella morte

Dopo essersi aggrappati ai peli di Lucifero e dopo aver “scalato” l’immane bestia, Dante e Virgilio proseguono il loro cammino. Superato l’Inferno, il regno del male, i due arrivano attraverso un passaggio piccolo e stretto, la natural burella, in vista della montagna del Purgatorio, che si trova nell’emisfero australe: per questo motivo mentre i due si tenevano stretti ai peli di Lucifero hanno percepito una sorta di “cambio di gravità”, poiché sono passati da un emisfero all’altro.

Dante e Virgilio hanno impiegato un giorno ad attraversare la valle infernale e finalmente sono ritornati all’aria aperta. Subito, però, una voce tuona dalla distanza, intimandoli di fermarsi:

«Chi siete voi che contro al cieco fiume 
fuggita avete la pregione etterna?», 
diss’el, movendo quelle oneste piume.

«Chi v’ha guidati, o che vi fu lucerna, 
uscendo fuor de la profonda notte 
che sempre nera fa la valle inferna?

Son le leggi d’abisso così rotte? 
o è mutato in ciel novo consiglio, 
che, dannati, venite a le mie grotte?».

A parlare è Catone l’Uticense, il filosofo stoico che si oppose con la vita alla tirannide cesariana. Dante ce lo descrive:

vidi presso di me un veglio solo, 
degno di tanta reverenza in vista, 
che più non dee a padre alcun figliuolo.

Lunga la barba e di pel bianco mista 
portava, a’ suoi capelli simigliante, 
de’ quai cadeva al petto doppia lista.

Nipote di Catone il Censore, egli fu alleato di Pompeo durante la guerra civile. Giunta presso di lui la notizia della morte di lui, decise di recarsi a Utica con un contingente di uomini, che, stremati dalla fatica, progettavano di arrendersi a Cesare. Per Catone questo era impensabile e, dopo aver detto agli uomini di fare ciò che loro preferivano e dopo aver trascorso il suo ultimo giorno di vita pranzando e leggendo alcuni passi del Fedone sull’immortalità dell’anima, decise di suicidarsi. La morte per un filosofo stoico non era un male, anzi: era un mezzo di liberazione. Ci stupisce che Dante, essendo di fede cristiana e, dunque, aborrendo il suicidio, abbia messo Catone nel Purgatorio, per di più come suo simbolo e protettore. Il suicidio di Catone è per Dante il massimo esempio di libero arbitrio e di libertà: Virgilio, infatti, per far sì che l’anima del filosofo conceda a Dante di continuare il viaggio, dice:

Or ti piaccia gradir la sua venuta: 
libertà va cercando, ch’è sì cara, 
come sa chi per lei vita rifiuta.

Tu ‘l sai, ché non ti fu per lei amara 
in Utica la morte, ove lasciasti 
la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara
.

Catone, però, per quanto Virgilio gli abbia raccontato tutta la storia, di come Beatrice, Lucia e la Madonna abbiano voluto questo viaggio e il viaggio di Dante in sé, non è convinto. Allora a Virgilio resta un ultimo asso nella manica: ricordare a Catone della moglie, Marzia.

Non son li editti etterni per noi guasti, 
ché questi vive, e Minòs me non lega; 
ma son del cerchio ove son li occhi casti

di Marzia tua, che ‘n vista ancor ti priega, 
o santo petto, che per tua la tegni: 
per lo suo amore adunque a noi ti piega.

Lasciane andar per li tuoi sette regni; 
grazie riporterò di te a lei, 
se d’esser mentovato là giù degni».

Catone è uno dei pochi pagani a non essere all’Inferno e dunque è separato dalla moglie. La risposta di Catone è tanto romantica quanto profondamente sentita e piena di nostalgia:

«Marzia piacque tanto a li occhi miei 
mentre ch’i’ fu’ di là», diss’elli allora, 
«che quante grazie volse da me, fei.

Or che di là dal mal fiume dimora, 
più muover non mi può, per quella legge 
che fatta fu quando me n’usci’ fora.

Ma se donna del ciel ti muove e regge, 
come tu di’, non c’è mestier lusinghe: 
bastisi ben che per lei mi richegge.

Catone ordina a Virgilio di lavare con l’acqua il volto di Dante per togliergli di dosso la fuliggine dell’Inferno e di legargli attorno al ventre un giunco, a mo’ di cintura. Il giunco è una pianta fondamentale all’interno di questa Cantica, in quanto esso è simbolo di umiltà. Esso si piega e non si rompe e dunque, crescendo sulle rive fertili in balia dei movimenti dell’acqua, è obbligato ad assecondarli per vivere. Per Dante l’umiltà è forse ciò che di più importante ha imparato durante il suo viaggio. Il pellegrino è il primo ad accorgersi che in vita egli varie volte ha peccato di superbia e che quindi è giunto il momento di cambiare.

Ricorderete i primi versi dell’Inferno:

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.

Ecco, finalmente Dante ha ritrovato, finendo sull’isola del Purgatorio quella retta via, ma non ne è ancora conscio, allora Virgilio gli dà una mano:

El cominciò: «Figliuol, segui i miei passi: 
volgianci in dietro, ché di qua dichina 
questa pianura a’ suoi termini bassi».

L’alba vinceva l’ora mattutina 
che fuggia innanzi, sì che di lontano 
conobbi il tremolar de la marina.

Noi andavam per lo solingo piano 
com’om che torna a la perduta strada, 
che ‘nfino ad essa li pare ire in vano.

Questo era Catone! 🙂
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