David Hume
In cosa consiste il pensiero di Hume? Qual è la sua teoria gnoseologica? In che senso è scettico? Cosa vuol dire che l’Io è un fascio di percezioni? Cos’è la simpatia?
Lo scopo della filosofia di Hume, grande esponente dell’empirismo inglese, è quello di creare una sorta di geografia della mente umana, descrivendo in maniera scientifica e sistematica le funzionalità della stessa. Il metodo che egli utilizza vuole coniugare le necessità date dalla complessità della natura umana, formata da diversi elementi, e dalla ricerca di un rigore scientifico che assicuri l’oggettività dei risultati.
Con questo tipo di approccio, vuole evitare di commettere gli errori che spesso si trovano in filosofia, specialmente in metafisica, che lui critica aspramente. Hume distingue la falsa metafisica, che vuole indagare sulla vera essenza delle cose in maniera astratta e speculatoria, dalla vera metafisica, che agisce seguendo le regole dettate dal metodo scientifico, concretizzandosi fondamentalmente non come una scienza a sé, con un ambito di studi limitato, ma come il fondamento delle altre scienze.
La geografia della mente
Hume procede quindi analizzando i contenuti della mente umana. Empirista convinto, muove dal presupposto che nessun pensiero è innato, che ogni cosa deriva in qualche modo dalla percezione. Suddivide così i materiali della conoscenza in due categorie: le impressioni e le idee.
Le impressioni sono percezioni che ci appaiono in maniera molto vivida, le idee, invece, sono immagini sfocate delle impressioni, ossia ciò che la mente riesce a trattenere una volta che l’impressione corrispondente si è dissolta. Il fatto che le idee siano sempre date da un’impressione empirica permette a Hume di darne per scontata l’oggettività, fornendo una base certa per la conoscenza.
Hume divide dunque le impressioni e le idee in due sottocategorie. Possono esserci impressioni di sensazione, che derivano dai sensi, e impressioni di riflessione, suscitate dalla rielaborazione interna di una precedente impressione di sensazione (in sostanza, sono le emozioni). Possono anche esserci idee semplici e idee complesse, quindi composte da più elementi. In questo caso, le idee complesse possono trarre in errore, non essendo le impressioni complesse da cui derivano direttamente collegate ad un singolo fenomeno percettivo chiaramente individuabile.
Impressioni ed idee sono sempre percezioni particolari. Le idee astratte non esistono, o meglio, sono soltanto diverse idee particolari descritte dallo stesso nome perché legate da un vincolo di somiglianza.
Le idee possono presentarsi nella mente mediante due facoltà. La memoria ripropone le idee alla mente in maniera simile a come esse si sono presentate in sede di impressione, quindi senza libertà di rielaborazione. L’immaginazione, invece, gode di una libertà maggiore, seppur basandosi sempre sui principi universali che governano la mente, tramite i quali le idee si associano tra loro: la somiglianza, la vicinanza spaziale o temporale, la causalità.
La conoscenza
La conoscenza può riguardare due ambiti: le relazioni tra idee o le materie di fatto.
Le relazioni tra idee consistono nelle assunzioni ricavate intuitivamente, dunque a priori. Pensiamo, ad esempio, alle leggi della matematica. Essendo derivate dalla pura ragione, esse sono sempre certe e necessarie.
Le materie di fatto consistono in quelle conoscenze che provengono dall’esperienza, acquisite dunque a posteriori. Non essendoci un elemento di necessità aprioristica, la conoscenza che ne deriva è solamente probabile, dunque il contrario è sempre possibile. Le materie di fatto si basano sempre sul principio di causalità, ma esso è fuorviante.
Stabiliamo un nesso causale quando supponiamo che tra due fatti ci sia una connessione che ci porta ad inferire l’uno dall’altro. Ma secondo Hume, il fatto che, ad esempio, al sopraggiungere di una palla A, la palla B si muova, non implica che il moto di A sia causa del moto di B. L’esperienza non ci comunica in alcun modo che questa relazione causale sia necessaria, né essa è ricavabile a priori.
Secondo Hume, quella che noi intendiamo come causalità non è altro che un atto di abitudine: siamo abituati a vedere la connessione tra due eventi, quindi supponiamo che questa connessione sussista sempre.
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