John Locke: la politica

John Locke: la politica

In cosa consiste la filosofia politica di John Locke? Per quali motivazioni sviluppa le sue teorie?

Locke vive in Inghilterra tra il 1632 e il 1704. Questo fatto è particolarmente importante per comprenderne la concezione politica, in quanto Locke vive in un periodo particolarmente tormentato della storia inglese. Durante la prima fase della sua vita, infuria la Guerra Civile inglese, che lo lascia esasperato. Quando, nel 1660, avviene la restaurazione degli Stuart, egli è molto sollevato. Tuttavia, da lì a sette anni Locke si ritrova coinvolto in ulteriori tumulti, dettati dagli scontri tra Tories e Whigs.

Per prudenza, nel 1683 si trasferisce in Olanda. Lì, a contatto con la realtà del Continente, inizia a provare un forte odio nei confronti dei monarchi assoluti, che vede come dei veri e propri tiranni, che si fanno forti di un diritto divino.

Così, nel suo Secondo trattato sul governo civile, Locke espone molte teorie contro l’assolutismo. Egli ritiene necessario arginare l’autorità regia ad ogni costo: pur di evitare il dispotismo sarebbe disposto ad accettare perfino una deriva anarchica.

Il suo concetto di Stato di natura è ben diverso da quello di Hobbes. Secondo Locke, l’uomo non è naturalmente dominato dagli istinti, bensì dalla ragione. Poiché la ragione insegna che nessuno deve nuocere all’altro, lo Stato di natura si concretizzerebbe in uno stato di perfetta libertà e uguaglianza. Vigerebbero naturalmente il diritto di punire in caso di errore e quello alla proprietà privata, in quanto più vantaggiosi secondo ragione. Dunque, se nello Stato di natura l’uomo vive felicemente, perché ricorrere allo stato artificiale?

Secondo Locke, lo stato artificiale si crea perché ognuno può essere giudice non imparziale, tentato ad esempio di punire per vendetta. Di conseguenza servono leggi stabilite. Questo mutamento può avvenire soltanto per consenso, con il raggiungimento di un accordo al quale acconsentono la maggior parte degli uomini liberi. Il che permette di garantire un governo legittimo. Ciò, secondo Locke, dimostra che un governo assoluto non può affatto essere legittimo, in quanto la maggior parte degli uomini non vi acconsentirebbe.

Locke formula anche una primitiva definizione della divisione dei poteri. Egli individua due poteri civili: il legislativo e l’esecutivo. Sostiene dunque che in tutti i governi moderati tali poteri debbano trovarsi in mani diverse. Questi due poteri non sono pari tra loro: il legislativo è un potere superiore, in quanto detta la prima legge di ogni stato.

Tuttavia, il legislativo non è un potere supremo, in quanto nella sua concezione di stato ogni uomo mantiene i propri diritti naturali, che non vengono ceduti allo stato, a differenza di quanto sostenuto da Hobbes. Il popolo si limita a depositare il potere sui governanti e mantiene il diritto di ritirare la propria fiducia qualora essi agiscano contro il bene comune. Il potere sovrano è dunque nelle mani del popolo, che mantiene il diritto di insurrezione.

Questa era la filosofia politica di Locke 😉
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